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Fra Beppe Prioli a Foggia

Ultimo Aggiornamento: 31/03/2009 21:34
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Post: 32
Città: FOGGIA
Età: 46
Sesso: Femminile
31/03/2009 21:34

INTERVISTA A FRA BEPPE DURANTE LA MISSIONE FRANCESCANA NELLA CASA CIRCONDARIALE DI FOGGIA
Come nasce la tua esperienza?
Avevo 20 anni, era il 1963, ero ospite in un convento, il primo di accoglienza vocazionale, per caso mi son ritrovato in mano famiglia cristiana dove c’era un articolo di un giovane della stessa mia età che aveva ricevuto una condanna per ergastolo. Ho pensato: “Io sono alla ricerca di una scelta e questo giovane ha già un destino segnato”. Gli ho scritto, nascondendo la questione al mio ordine, dicendo spero di venirti a trovarti. Dopo tre anni al posto di tornare in famiglia son andato nel carcere dell’isola d’elba, il carcere Forte s. Giacomo, una struttura in cui c’erano solo ergastolani. Varcare quelle soglie non è stato facile, anche se loro sono stati molto accoglienti. Da loro infatti ho imparato l’ascolto, l’accoglienza e il confronto. Tornato in convento avevo il peso di mille richieste e le mia difficoltà maggiore era non poter condividere il tutto con la mia comunità essendo il primo frate attento a questa realtà e anche perché la mia scelta era la vita religiosa non sacerdotale. Nel 1968 frequentando Porto Azzurro un gruppo di giovani mi ha dato l’idea di fondare un’associazione che si occupasse di questa tematica...nasce Fratello Lupo. Il carcere a noi più vicino era quello di Verona, la nostra città, e dopo aver chiesto tutti i permessi siamo entrati in carcere dove la nostra prima operazione è stata quella di creare una biblioteca, data l’importanza di riuscire a colmare una giornata con la cultura.

Come concili il tuo rapporto tra la comunità religiosa e quella detentiva?
Il mio impegno nella comunità coincide con il carcere, le due vivono in parallelo. Queste realtà si sono integrate. Vivo i momenti di preghiera e di vita comunitaria che mi sostengono e si affiancano al carcere.

Perché oggi sei a Foggia?

Sentendo Padre Miki ho voluto portare la mia esperienza e la mia testimonianza nel carcere di Foggia. La presenza dei missionari è scomoda perché essi vengono visto come degli osservatori e c’è il timore che questi possano portare fuori delle realtà difficili. I missionari aiutano nel lavoro interiore dei detenuti, che a volte sono ostili alla verità, alle famiglie e al personale penitenziario.

Cosa porta con se fuori da questa esperienza?
Mi ha colpito il bisogno dell’ascolto da parte dei detenuti, per loro c’è un primo confronto con l’esterno, una sorta di novità, un’occasione di parlare di loro stessi, di confidarsi con il desiderio di aprirsi in tutte le direzioni: rabbia, aspettative, limiti…
Il sistema carcerario toglie la dignità dell’uomo, è una struttura che non rieduca e non riscatta, ferma la persona. Quando una persona inizia a pensare a ciò che è accaduto, se non c’è l’accompagnamento di operatori, cappellani e volontari abbiamo il rischio di perderla definitivamente e non aiutarla a riscattarsi.

Fra Beppe tuo libro Risvegliato dai Lupi…lasciaci l’antidoto per rimanere svegli!
Dal mio incidente in comunità e dalle mie esperienze di vita ho fatto un salto di qualità nel mio operare, un’attenzione particolare alle vittime, alle donne in carcere, alle famiglie che sono all’esterno, ai religiosi che lavorano nel carcere e alle forze dell’ordine. Ho rivisitato e dato un’attenzione particolare e nuova ad ogni categoria. Affianco alla nostra associazione è nato un’associazione dedicata alle vittime, che ci fa crescere e ci ha messo da entrambe le parti. C’è bisogno di professionalità per i missionari, perché il carcere è cambiato e bisogna essere formati sostenuti da un cammino di fede, ma l’ingrediente per eccellenza è mettersi al posto dell’altro e non guardare alla gravità del reato commesso, ma alla persona. Solo nel tempo si può parlare del problema e affrontarlo insieme.

Ognuno di noi può essere al posto dell’altro, quindi devi guardare oltre il reato, metterlo da parte e guardare negli occhi la persona, aiutarla e dare un significato alla vita detentiva non come espiazione, ma come riparazione di quanto gli è accaduto.
Di fronte a certi reati o trasgressioni la risposta è anche il non carcere, ma una risposta più che punitiva, ripartiva formata da obblighi, servizi sociali e controlli.
Bisogna rendersi conto che dietro ai reati c’è una richiesta disperata d’amore!


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